giovedì 21 ottobre 2010

Colazione ore 8

Che già uno alla mattina ha la testa in conflitto col resto del corpo, e allora ti trovi ammucchiato insieme ad altre miriadi di scimmie parlanti alla ricerca convulsa di consumare la colazione al bar. La multinazionale del cornetto ci obbliga a questa dieta mattutina, tutti in fila con le uniformi naziste da impiegati, manager o quadri; ovvero in tuta, con lo zaino in spalla e l'invicta coi libri universitari, tutti uguali e relegati in un cubicolo a ordinare, costretti a palleggiare fra la cassa e il bancone, destra sinistra, vai chiedi, fai lo scontrino vai di là a scegliere perchè ancora non sai cosa vuoi, torni indietro, paghi con qualche spiccio o i buoni pasto.

Serve a qualcosa, la colazione al bar? Detestabile consuetudine detta dalla Compagnia del caffè. A passo d'oca scivoliamo nella routine del caffè: macchiato, senza macchia e paura, corretto, incorreggibile; marocchino nonostante il nostro razzismo latente, poco convinti quando pronunciamo quella parola evocatrice di semafori e ambulanti.

La mattina continuiamo a rimbalzare, zucchero-zucchero di canna-dietetico-senza zucchero e al via le prime battute dettate dal senso comune. E continuiamo a finanziare la multinazionale del consumo a furia di croissant, brioches, cornetti crema-cioccolato-nutella-marmellata, occhi di bue, ventagli; o peggio tramezzini con ogni ben di Dio, panini imbottiti, pizzette, rustici... il dietologo impazzisce al nostro contatto telepatico e intanto con 60 centesimi ci togliamo lo sfizio, mentre l'80% del pianeta preferisce contenersi suggendo latte macchiato da sangue e carestia.

E io intorpidito ancora dalle ore notturne, ridacchio e lascio smorfie di disappunto, mentre la giostra della colazione procede imperterrita, ultimo spiraglio di libertà prima di otto ore di relazioni, riunioni, fra cravatte e giacche di fustagno.

Un colpo alla spalla mi desta dalla visione di dolore per questo carillon senza fine: "Prendi un caffè?" -

"No grazie- rispondo con tono solenne -ho smesso".